Letto in termini semplici potrebbe sembrare come un controsenso, una incoerenza che non ha basi solide per essere pensata: nessuno, a dir la verità, realizzerebbe un investimento su un terreno non fertile, rischioso, che vive di povertà o che semplicemente non ha un rendimento soddisfacente per offrire un ritorno economico soddisfacente. Eppure, date le tendenze che si sono delineate nell’ultimo periodo, investire in titoli di Stato dei paesi in crisi, acquisendo gli stessi, può essere una mossa economica conveniente, che i più coraggiosi ma anche i più attenti possono e devono realizzare. Per quale motivo? Facendo riferimento a quanto indicato su piattaforme come in investireinborsa.me, e seguendo una ricerca condotta nel settore da Carmen Reinhart, si è in grado di dimostrare perché.
Come funziona l’investimento in titoli di stato
I più grandi investitori al mondo e anche coloro che aspirano a diventare tali sanno benissimo che l’investimento in titoli di stato gode di alcuni fattori interessanti, che permettono di rendere positivo il mercato che viene a crearsi, oltre che la risposta da parte del mercato stesso. In altre parole, anche se investire in titoli di stato comporta un guadagno relativamente basso, se lo si confronta con quello che viene offerto dalle altre forme di investimento, il rischio di andare in perdita o di veder estinto il proprio piano di mercato è relativamente basso.
Il discorso risulta essere, quindi, semplice – ed assume la formula specifica di “equity premium” – e incredibilmente affidabile: a livello mondiale il mercato degli investimenti in titoli di stato ha raggiunto il valore complessivo di 50mila miliardi di euro, con circa 2000 che derivano soltanto dal mercato italiano.
Perché investire in titoli di stato dei paesi in crisi?
A questo punto si pone l’interrogativo principale, da cui muove le mosse l’articolo: se il fattore equity premium ha generato grandi introiti per e da parte degli investitori a livello mondiale, tutto deriva dal fatto che l’investimento avvenga in quei paesi che, pur non essendo le più grandi potenze economiche al mondo, comunque godono di un pregio economico considerevole.
E se l’investimento avvenisse in quei paesi che, invece, sono pregni del rischio e della povertà economica? L’investimento, tende a dimostrare la ricerca di Carmen Reinhart, è comunque positivo. La ricerca si basa su una statistica piuttosto ampia, che prende in considerazione il rendimento dei titoli di stato dal 1815 in poi, e ha offerto interessanti risultati, che possono rivoluzionare il mercato del trading online e degli investitori a livello globale.
Avendo preso in considerazione 91 paesi – quelli che sono considerati in via di sviluppo o che hanno palesato episodi di default economico e finanziario negli ultimi due secoli -, il ritorno economico dei paesi in questione è stato addirittura maggiore di quei paesi che vengono, invece, considerati “sicuri”, come la Gran Bretagna o la Germania. Ciò dipende dal rendimento annuo dei titoli sovrani, dalla volatilità degli stessi, dal rendimento che essi offrono rispetto al bond americano (utilizzato come riferimento economico) o dal numero di anni sul mercato. In definitiva, dati determinati fattori che – nel loro complesso – danno forza anche ai mercati deboli, investire sui paesi in crisi non è assolutamente una scelta sbagliata, anzi, potrebbe dar via ad una rivoluzione di mercato.